E se non volessi più essere cattivo?
Prima di ogni altra cosa sento il dovere di fare una premessa: adoro i film di animazione! Sono follemente innamorata delle storie di Rapunzel, Nemo, Vaiana e company, perché a mio parere hanno tantissimo da insegnare ai”grandi”, specialmente a quelli che hanno a che fare con i “piccoli”: genitori, insegnanti, educatori, nonni, zii…
Ne trarrò spunto spesso per proporre delle riflessioni nella categoria di articoli che oggi inauguro: “Educare al benessere”. E ti dirò di più: mi piacciono talmente tanto che li ho usati anche per creare due guide per i genitori che puoi scaricare direttamente dal mio sito. Una è pensata per chi ha figli fino a 9/10 anni, l’altra per chi ha figli fino a 14/15 anni. Si chiamano La famiglia a cartoni e seguendo questo link puoi scoprire meglio di che si tratta.
Ma ora torniamo a noi! Il film di animazione da cui prendo spunto oggi per invitarti a riflettere è Ralph Spaccatutto, una produzione Disney del 2012 diretta da Rich Moore (e ti consiglio di guardarlo!).
Ralph, cattivo o eroe?
Ralph Spaccatutto è il cattivo del videogioco Felix Aggiustatutto. Viveva in un foresta che però è stata abbattuta per costruire un condominio, chiamato “Belposto”. Arrabbiato per aver perso la propria casa, Ralph, che ora vive in una discarica di mattoni, inizia a distruggere tutto con le sue possenti braccia, mentre Felix, lo riaggiusta con il suo martello magico. I “Belpostiani” premiano Felix con una medaglia d’oro ogni volta che completa la sua missione mentre gettano Ralph dal tetto del condominio facendolo atterrare in una pozzanghera di fango.
Durante una riunione di “Cattivi Anonimi”, che si tiene all’interno di un altro videogioco, Ralph rivela che si è stancato di essere un cattivo e vuole dimostrare che anche lui può essere buono e valoroso e vincere una medaglia, proprio come Felix.
Dopo il mancato invito alla festa per i trent’anni di Felix Aggiustatutto, Ralph abbandona il proprio videogioco fuggendo attraverso i cavi di alimentazione e decide di entrare nel gioco Hero’s Duty, in cui spera di potersi aggiudicare una medaglia per dimostrare a tutti di essere un eroe. Riesce nel suo intento, ma risveglia inavvertitamente delle uova di scarafoidi, e uno di questi entra in una capsula di salvataggio mentre attacca Ralph, che viene scaraventato per errore in Sugar Rush, un videogioco di kart ambientato in un mondo di dolciumi.
In questo mondo incontra la piccola Vanellope, un glitch (in termini semplici un errore di programmazione) di Sugar Rush, che gli ruba la medaglia per pagarsi l’iscrizione alla gara di kart. I due hanno dapprima un duro scontro, ma poi Ralph è commosso per la sfortunata condizione di Vanellope, e stipula con lei un patto: Ralph aiuterà Vanellope a costruire un kart per correre nella gara mentre lei, in cambio, gli farà riavere la medaglia dopo aver vinto.
Nelle vicissitudini che seguono Ralph agirà più volte in vista di quello che crede possa essere il bene di Vanellope (a volte sbagliandosi), pronto a sacrificare se stesso per lei, da vero eroe. E alla fine, tornato al suo videogioco, accetta il proprio ruolo di cattivo, senza volerlo più cambiare, perché ora i “Belpostiani” lo rispettano.
In fondo non mi serve una medaglia per sentirmi buono. Perché se quella ragazzina mi vuole bene… tanto cattivo non posso essere, no? (Ralph)
Pregiudizi che ingabbiano
La storia di Ralph ci mostra uno dei più grandi errori che si possono commettere in educazione (qualunque sia il proprio ruolo educativo): assegnare ai bambini un’etichetta. Quante volte a casa o a scuola ogni bambino viene individuato con un’etichetta che gli è stata attribuita in base a caratteristiche che, pur essendo davvero sue, non potranno mai rappresentarlo nella sua complessità? Proprio come accade per Ralph, che è stato disegnato per essere il cattivo del gioco e solo come tale viene considerato, al punto che i “Belsitiani” hanno paura di lui anche quando non distrugge nulla. Eppure il suo cuore non è affatto quello di un cattivo da cui fuggire.
Quando usiamo un’etichetta o una definizione per identificare un bambino, non facciamo altro che giudicarlo e quel giudizio andrà a contribuire alla formazione dell’identità di quel bambino. In altre parole se io continuo a ripetere a mio figlio che è stupido lui crederà davvero di esserlo, si costruirà un’identità personale di persona stupida e che quindi, ad esempio, non può riuscire bene a scuola. Con il mio giudizio rischio di ingabbiare mio figlio, di impedirgli di sviluppare tutte le sue capacità e le caratteristiche che magari possiede ma che io non ho saputo cogliere e rispecchiare.
Se ciò è vero per i bambini piccoli, lo è anche per i più grandicelli, fino all’adolescenza. La costruzione della propria identità è un processo lungo, fatto di continue revisioni e ricostruzioni, un processo che sembra non finire mai, pur avendo il suo culmine proprio nell’adolescenza. Che è pertanto un’età delicatissima, in cui i ragazzi pur mostrandosi duri come rocce, sono estremamente sensibili ai giudizi esterni. Se qualcuno mi dice che sono in un certo modo magari sarà vero, magari da fuori riesce a capire meglio di me chi sono. E se ha ragione, allora tanto vale comportarmi in quel modo, per “assecondare” la visione che gli altri hanno di me (anche se forse io la penso diversamente).
Bloccati nella gabbia
Rinchiudere nella gabbie dei giudizi (e molto spesso dei pregiudizi) ha effetti deleteri sia quando i giudizi sono negativi, sia quando sono positivi.
Nel primo caso è immediato capire come un bambino o ragazzo tacciato per essere il “cattivo” o il “combinaguai” della situazione possa sentirsi incompreso nel desiderio di far vedere altre parti di sé e possa avere grandi difficoltà nel dimostrare di essere altro, anche quando cambia il proprio atteggiamento. Inoltre, dal momento che chi si sente ripetere di essere una certa cosa tende a crederci e ad assumere comportamenti congruenti con la definizione data, si rischia di trasformare in autentici “combinaguai” bambini e ragazzi che potrebbero essere qualcosa di diverso. Così come si rischia di congelare in un certo ruolo (e penso in particolare a quello del bullo) ragazzi e bambini che, aiutati in modo competente, potrebbero cambiare e assumere atteggiamenti migliori.
Ma anche quando il giudizio è positivo rischia di essere una gabbia da cui non si riesce ad uscire. Immaginiamo un bambino indicato come il più bravo della classe, il fratello più maturo e affidabile, un figlio “perfetto”. Potrebbe nascere in lui il desiderio di compiacere chi lo ha apprezzato in tal modo, al punto da sforzarsi per essere davvero sempre perfetto, non commettere errori, non fare sciocchezze. Il compito dei bambini però non è questo: l’errore è la base della crescita e spingere qualcuno a diventare grande, maturo e affidabile prima del tempo vorrebbe dire impedirgli di vivere la sua età. Quando poi simili giudizi riguardano ragazzi adolescenti, la fatica di incarnare certe visioni può essere tale da diventare una sfida insuperabile, con conseguente senso di inadeguatezza e fallimento o, in alcuni casi, fuga nell’estremo opposto (proprio per togliersi di dosso quell’etichetta).
In un caso o nell’altro il rischio di fingere di essere qualcosa che non si è per assecondare (o anche per non assecondare, specie in adolescenza) gli adulti di riferimento è sempre dietro l’angolo. E così facendo si finisce rinchiusi nella gabbia di un falso Sé.
Spacchiamo tutto!
Per fortuna non è detto che vada sempre così, perché spesso bambini e ragazzi hanno energie sconosciute e se ci sono le giuste condizioni riescono a canalizzare tutto il buono che arriva dagli adulti che incontrano nelle diverse situazioni nella costruzione di un’identità autentica. Ciononostante è importante che genitori ed educatori sappiano guardare i bambini e i ragazzi al di fuori degli schemi, perché gli schemi sono degli adulti e non rispecchiano la realtà di chi sta ancora esplorando il mondo e se stesso nel mondo.
Allora spacchiamo gli schemi, apriamo le gabbie! Quelle che abbiamo nelle nostre menti, quelle con cui ci hanno insegnato a guardare le cose, ma che ben poco ci sanno dire della complessa realtà umana. Facciamo noi adulti per primi qualcosa che va contro il nostro solito modo di essere: scopriremo nuove ricchezze in noi. Insegniamo ai bambini e ai ragazzi a fare qualcosa che non hanno mai pensato di fare, chiediamogli di mettersi alla prova per scoprire anche loro nuovi aspetti di sé.
Soprattutto, come ha fatto Ralph, impariamo ad accettarci per quello che siamo e insegniamo ai “piccoli” a fare altrettanto… è l’unico modo per essere davvero felici con se stessi!
Io sono un cattivo… e questo è bello! Io non sarò mai un buono e questo non è brutto! Io non vorrei essere nessun altro… a parte me. (Ralph)