Ci sono carezze per tutti!
Nel mio precedente articolo “E se poi finiscono?” Ovvero come ci roviniamo la vita con l’economia delle carezze ho introdotto un tema che ha suscitato l’interesse di molti lettori. Probabilmente perché quasi tutti possiamo ritrovarci in almeno una delle 5 regole della Stroke Economy e rintracciare in essa un’immagine specifica della nostra infanzia.
Per questo mi è parso utile approfondire questa stessa tematica, da una prospettiva pedagogica e psico-educativa, per evitare che altri bambini possano fare proprie (e a loro volta trasmettere) queste regole errate.
Una premessa
Partiamo dal dire che se tutta la questione delle carezze ha un peso così rilevante nelle nostre vite è perché ciascuno di noi ha fame di contatto e relazione, di essere visto e riconosciuto come un essere unico. Questa fame spiega molte delle nostre azioni apparentemente illogiche.
Procediamo con ordine. Secondo Eric Berne, fondatore dell’Analisi Transazionale, tutti noi abbiamo 3 fami psicologiche: la fame di stimoli e sensazioni, ossia di carezze (o stroke) in senso fisico, la fame di conferma e riconoscimento ed infine la fame di struttura, ossia il bisogno di dare significato e prevedibilità all’ambiente.
Dicevo che l’importanza delle stroke è legata a queste fami, e il motivo è che esse sono l’unico nutrimento che le può soddisfare.
Ma cosa è una stroke? Secondo Berne essa è «l’unità basilare dell’azione sociale». Può trattarsi di un comportamento verbale o non verbale, ciò che la caratterizza è che attraverso di essa ci scambiamo attenzione e stimolazione, andando a soddisfare almeno due fami, quella di stimoli e quella di riconoscimento (ma di solito anche la terza, perché questi scambi avvengono prevalentemente in modo strutturato e prevedibile).
Quali stroke ci scambiamo?
Non tutte le stroke sono uguali, però!
La stroke (stando al senso originario del termine inglese, tradotto in italiano non molto precisamente con il termine carezza) è un contatto che può essere piacevole, ma anche ruvido e brutale. Questo significa che possono esistere stroke positive (carezze, abbracci, complimenti, apprezzamenti…), e stroke negative (schiaffi, rimproveri, urla, critiche, svalutazioni…).
Questi riconoscimenti, come già detto, possono essere di tipo verbale oppure non verbale e inoltre possono venire da noi o dagli altri.
Inoltre ci sono carezze condizionate e carezze incondizionate: le prime hanno a che fare con quello che qualcuno fa in un determinato momento, le altre con ciò che una persona è. Per cui una stroke incondizionata mi fa sentire vista e riconosciuta per quello che sono in modo globale, mentre una stroke condizionata mi fa sentire vista e riconosciuta nel qui e ora delle mie azioni.
Pur di ricevere uno sguardo!
Forse starai pensando che ogni persona sana di mente farebbe di tutto per avere delle carezze positive, possibilmente incondizionate, e per evitare quelle negative. Ma la realtà non è sempre così. Infatti per il principio del “meglio una stroke negativa che nessuna stroke” (perché significherebbe assenza totale di attenzione e riconoscimento da parte di un altro), chi è abituato a non ricevere carezze positive ma solo critiche e rimproveri, farà ciò che è in suo potere per ottenere quei riconoscimenti negativi quando costretto a scegliere tra quelli e una completa indifferenza. Quindi un bambino non rispetterà le regole, un ragazzo andrà male a scuola, una persona di qualsiasi età deciderà di essere maldestra o provocatoria… tutto per ricevere un rimprovero, una critica, una svalutazione: in ogni caso un segno di riconoscimento, per quanto in negativo, della propria esistenza. Perché per rimproverarti devo riconoscere che ci sei!
Inoltre chi è abituato a ricevere solo carezze condizionate, imposterà un’esistenza basata sui risultati e sulla performance, perché abituato a ricevere complimenti (e critiche) solo per ciò che fa e non per ciò che è. Quasi come se dovesse pagare a caro prezzo ogni sguardo posato su di lui/lei, dimostrando di meritarselo.
In altri termini ciò che succede nella vita adulta è che si mettono in atto comportamenti in grado di garantirci il tipo di carezze che abbiamo ricevuto da piccoli, perché quelle conosciamo e sappiamo decifrare.
Anche se in realtà non ci piacciono e potremmo avere di meglio!
Questo è il motivo per cui essere consapevoli di tali meccanismi, ci permette di evitare che i nostri figli si “accontentino” di attenzioni negative o poco nutrienti, ma prima ancora ci permette di comprendere come dietro alcuni comportamenti “ribelli” si nasconda un bambino che chiede di essere visto.
Guardare, riconoscere, amare
Avere chiaro quali sono i tipi di stroke e le fami che muovono alcune nostre azioni è molto utile per i genitori, perché dà loro modo di verificare quali tipi di carezze cercano maggiormente i figli e di modificare di conseguenza il proprio comportamento.
Il primo passo è guardare il comportamento dei propri figli. Osservare se fanno molti capricci quando non ce ne sarebbe motivo, se disobbediscono sistematicamente alle regole e in generale se, nel momento in cui arriva un rimprovero, in qualche modo sembrano più tranquilli, come se si placasse una tensione interiore. Un simile atteggiamento reiterato nel tempo può essere indice del fatto che sono alla ricerca di stroke negative. Le quali saranno condizionate, se fanno seguito ad azioni che notoriamente non sono accettate dai genitori, oppure incondizionate, se legate ad un modo di essere del bambino (che si mostra inetto, lento, incapace a fare cose anche semplici per la sua età) ugualmente non gradito ai genitori. In entrambi i casi, queste carezze faranno sentire il bambino visto e questo gli darà l’idea di aver ottenuto il proprio scopo.
Il secondo passo è riconoscere l’origine dei comportamenti messi in atto. Quindi verificare se davvero avvengono per un bisogno dei bambini o dei ragazzi di essere visti, di ricevere attenzione che in altro modo non riescono ad avere. E poi chiedersi se tale modalità di ricerca di attenzione non nasca da un atteggiamento errato messo in campo dal genitore: perché quando un bambino va in cerca di stroke negative, vuol dire che le conosce e le riconosce, che è abituato a riceverle e preferisce avere quelle piuttosto che ricevere indifferenza. In questi casi, un buon genitore deve sapersi fare un esame di coscienza e con onestà riconoscere se sta dando troppe poche stroke positive al figlio. Logicamente anche al migliore dei genitori può capitare di vivere un periodo in cui l’attenzione non è sempre tutta concentrate sui figli o di avere pensieri o impegni impellenti. Non è certo questo che “rovina” lo sviluppo di un bambino! A patto però che un simile calo di attenzioni sia momentaneo e che poi si ritorni alla giusta “dose” quotidiana di carezze.
Il terzo passo allora è amare il proprio figlio, rivestirlo di attenzioni positive ed incondizionate, sia verbali che non verbali. A qualunque età un figlio deve sapere di essere il tesoro dei suoi genitori, di essere prezioso per loro, che loro lo vedono e lo amano per ciò che è.
Ma per farlo è necessario prima di tutto amarsi. E spesso l’amore verso di sé passa anche dal tipo di carezze che andiamo a cercare per noi stessi. Per cui è bene che i genitori sappiano rivolgere anche verso di loro questa capacità di guardare, comprendere ed amare.
Il che si traduce nell’essere consapevoli di ciò che si dà e si riceve nelle proprie relazioni, nel chiedersi se quanto ottenuto sia davvero quello che si desiderava o se le stroke ricevute siano una delusione o, peggio ancora, un sostituto di qualcosa che si pensa di non meritare.
Inoltre sarebbe opportuno avere sempre chiaro se si è davvero disposti a dare le stroke che si danno o se piuttosto non ci si senta obbligati a darle o spaventati dal rifiutarle. Nel rapporto di coppia, nel rapporto con i figli, ma anche nelle relazioni di lavoro o con gli amici.
La giusta economia
Per riuscire a vivere un corretto rapporto con le carezze che diamo e che riceviamo, dobbiamo rieducarci ed educare i nostri figli ad una sana gestione dell’economia delle carezze. Non basata sull’idea che sono un bene prezioso e limitato, ma sulla consapevolezza che ce ne sono per tutti e che è bello scambiarsele, così come è bello donarle anche senza motivo, anche senza riceverne altre in cambio.
Vediamo allora quali possono essere le 5 regole rivisitate per una corretta economia delle carezze.
Dai le carezze che vorresti dare.
Possiamo essere gentili e dimostrare il nostro affetto nei confronti di un’altra persona tutte le volte che lo desideriamo. Semmai starà all’altro, quando non le desidera, assumersi la responsabilità di rifiutare le nostre carezze (siano esse positive o negative).
Chiedi le carezze di cui hai bisogno.
Quando qualcuno ci presta aiuto o attenzione in risposta ad una nostra specifica richiesta, il suo gesto non ha meno valore di un gesto spontaneo, perché non sempre gli altri possono intuire di cosa abbiamo bisogno. Inoltre chi chiede non è più debole di chi non lo fa, anzi in molti casi si dimostra più coraggioso, perché accetta di correre il rischio di un rifiuto.
Accetta e goditi le carezze che desideri.
Possiamo e dobbiamo dare e darci il permesso di assaporare la bellezza di ciò che viene fatto per noi, che sia un abbraccio, un complimento, un favore… Può succedere alcune volte di prendere qualcosa di nutriente per noi anche senza dare nulla in cambio, e questo non è sbagliato. Inoltre possiamo lasciarci vedere dagli altri, senza schernirci o nasconderci, fidandoci di chi vede la nostra bellezza e sa darci qualcosa che ci piace.
Rifiuta le carezze che non vuoi.
Chiunque ha il diritto di proteggersi da attenzioni indesiderate, di qualunque natura siano. E questo non vuol dire essere sgarbati, ma avere dei confini che si desidera far rispettare.
Fai carezze a te stesso se lo desideri.
Ognuno di noi ha necessità di vedersi, di riconoscere le proprie competenze e capacità, ma anche di darsi delle gratificazioni in alcuni momenti. Poterlo fare è sinonimo di capacità di stare in contatto con sé, comprendere i propri bisogni e rispettarli.
Carezze? Sì grazie!
Se sapremo vivere con questa mentalità lo scambio di stroke che avviene nelle relazioni sociali, senza accontentarci dei “freddoruvidi” per paura che i “caldomorbidi” finiscano (vedi la favola di Claude Steiner), saremo più sereni e più capaci di contattare le nostre emozioni e i nostri vissuti, liberi dalla necessità di nasconderli anche a noi stessi per rispettare “regole” errate.
E come genitori saremo capaci di insegnare ai nostri figli che ci sono “caldomorbidi” per tutti e che è bello scambiarseli perché nutrono noi stessi e l’affetto ci lega agli altri.